Tu bestia, piccola bestia. Seduto sul fondo del pozzo del mio cuore, lacero, immerso in quella matassa di parole che vorrei dire ma che mai dirò, mi ritrovo a guardarti. Osservo i tuoi percorsi sui fili insicuri del viaggio. Ti vedo ondeggiare e nell’attimo della perdita d’equilibro mi accorgo del tuo correre verso di me.
“Che vuoi? Chi sei?” continuerò a chiederti, “ciao” tu mi rispondi.
Le forme stampate dal pianto le conosco bene: cicatrici atroci di sofferenza. Tutte le forme, a guardarle bene, non sono altro che linee, curve e geometriche combinazioni. L’anima cosciente di esse è figlia del nostro inarrestabile pensiero. Un flusso rumoroso, immersivo, dispersivo e irrimediabilmente commuovente di vita. Le forme, nei loro tratti, assumono l’aspetto dei ricordi e i sentimenti germogliano; improvvisamente il muro cede e si apre quanto basta nello spiraglio di un foro. “Ho un foro nel mezzo e la luce passa attraverso”
“Bestiaccia” vorrei urlarti, “canaglia” vorrei gridare. Vorrei solamente dirti cose…Tenerezza
Forse doveri solo imparare ad ascoltarla questa Bestia. Che bella Bestia, inizio quasi ad amare l’odio che provo per te. Io, si sa, sono pur sempre un drago. Bestia, copri gli occhi! Non guardarmi più così, non usare più quello sguardo altrimenti il pianto mi coglie. Maledetti occhi, maledetta tu! Non temere però, loro crescono e le radici s’ingrossano. Te lo dico oggi per non dirtelo più?